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Fiscalità energetica Francia-Italia: uno sguardo incrociato

di Adrien GUYOT

In risposta alla crisi energetica, mentre l’Europa affrontava un aumento storico dei prezzi del gas e dell’elettricità, Francia e Italia hanno adottato misure fiscali e sociali senza precedenti per proteggere i propri cittadini e le proprie imprese. Da un lato uno scudo tariffario universale, dall’altro bonus sociali mirati: due strategie diverse, ma dettate dalla stessa urgenza, quella di evitare una grave crisi economica e sociale.

Dietro queste risposte congiunturali si profilano tuttavia scelte politiche più profonde:

    • Quale ruolo attribuire al segnale di prezzo nella decarbonizzazione dell’economia?
    • Come preservare la competitività industriale senza alterare la concorrenza intraeuropea?
    • Come tutelare le famiglie in difficoltà senza compromettere la sostenibilità di bilancio?

Queste domande trovano particolare eco nel Trattato del Quirinale, firmato nel 2021, che mira ad avvicinare Francia e Italia nelle loro politiche energetiche e industriali. Più in generale, rimandano alla sfida di costruire un’Europa che sia allo stesso tempo verde, competitiva e solidale.

La fiscalità energetica: una leva centrale della politica energetica dagli utilizzi contrastanti

Mentre la transizione energetica appare inevitabile di fronte al cambiamento climatico e agli sconvolgimenti geopolitici, l’energia non è mai stata così centrale.

In questo contesto, la fiscalità energetica occupa un posto strategico: orienta i comportamenti di consumo (tramite il segnale di prezzo), finanzia la transizione (energie rinnovabili, efficienza) e ammortizza gli shock sociali.

Ma non è strutturata allo stesso modo a Parigi e a Roma.

In Francia, il sistema si basa su accise settoriali (elettricità, ex TICFE, gas, ex TICGN, carburanti, ex TICPE), integrate dal contributo tariffario di trasporto e da un’IVA del 20%. Dal 2021, lo “scudo tariffario” ha congelato parte degli aumenti, a costo di massicci esborsi pubblici e di un’eliminazione del segnale di prezzo. I recenti sviluppi (adeguamenti delle accise, allineamento dell’IVA sull’abbonamento) hanno modificato più la struttura delle bollette che la loro logica di fondo.

In Italia, la fattura si basa sulle accise (imposta di consumo), sull’IVA (spesso al 10% sull’elettricità domestica), ma soprattutto sugli oneri di sistema. Questi oneri parafiscali finanziano direttamente le energie rinnovabili, l’efficienza energetica e alcuni costi storici. Per le famiglie vulnerabili, il bonus sociale energia viene assegnato automaticamente in base all’ISEE. Durante la crisi, Roma ha temporaneamente adeguato gli oneri e ridotto l’IVA e le accise, rivelando la flessibilità ma anche i limiti di questo sistema.

Queste differenze influenzano direttamente la capacità di Francia e Italia di decarbonizzare la loro economia, preservare la competitività industriale e proteggere il potere d’acquisto delle famiglie.

Fiscalità e decarbonizzazione: un segnale di prezzo alterato

La fiscalità energetica dovrebbe orientare i consumi verso vettori a basse emissioni di carbonio. Tuttavia, sia in Francia che in Italia, fatica a generare un segnale di prezzo chiaro e stabile a favore dell’elettrificazione.

In Francia, il paradosso è sorprendente: l’elettricità, decarbonizzata per oltre il 90%, rimane proporzionalmente più tassata rispetto al gas o ai prodotti petroliferi (con una fiscalità sul carbonio congelata dal 2018 e dal movimento dei gilet gialli). Nel 2024, l’accisa sull’elettricità per le famiglie era pari a circa 21 €/MWh, mentre quella sul gas naturale era di circa 16,37 €/MWh. La quota delle tasse (accisa + CTA + IVA) rappresentava quindi circa il 22-24% della bolletta elettrica delle famiglie nel primo semestre del 2024. Da agosto, l’armonizzazione dell’IVA al 20% è stata accompagnata da un adeguamento dell’accisa, ma senza un vero incentivo al passaggio all’elettricità. Lo scudo tariffario ha ulteriormente accentuato questa incoerenza: mascherando gli aumenti, ha scoraggiato la sobrietà e gli investimenti nell’efficienza energetica.

In Italia, gli oneri di sistema creano un legame diretto tra consumo e finanziamento della transizione. Tuttavia, essi rendono l’elettricità più costosa, già più cara che in Francia: 0,25 €/kWh contro 0,18 €/kWh per le famiglie nel 2024. La loro sospensione durante la crisi ha inoltre indebolito il finanziamento delle politiche energetiche, confermando al contempo il loro ruolo di “variabile di aggiustamento” congiunturale. Inoltre, le accise differenziate sul gas continuano a favorire questo vettore per il riscaldamento residenziale, rallentando il passaggio all’elettricità.

In sintesi, la fiscalità francese soffre di un’incoerenza che penalizza l’elettrificazione, mentre la logica italiana, più integrata, rimane costosa e vulnerabile agli shock esterni. In entrambi i casi, l’assenza di un segnale di prezzo stabile mette a repentaglio il percorso di decarbonizzazione a lungo termine.

Fiscalità e competitività industriale: un equilibrio delicato

La fiscalità energetica pesa fortemente sulla competitività delle industrie ad alta intensità energetica (siderurgia, cemento, chimica, carta). La crisi energetica ha costretto Parigi e Roma a sostenere questi settori, ma con modalità diverse.

In Francia, le misure di sostegno si sono moltiplicate:

    estensione dello scudo tariffario alle microimprese e alle PMI, poi alle industrie ad alto consumo energetico,

    creazione dell’“amortisseur électricité” (ammortizzatore elettrico) e dello sportello di assistenza per il gas/elettricità,

● introduzione del « mécanisme de compensation des coûts indirects de carbone » (meccanismo di compensazione dei costi indiretti del carbonio (CCIC), che copre fino al 75% dei costi aggiuntivi legati alla tassa sul carbonio per i settori esposti alla concorrenza internazionale.

Questi dispositivi hanno permesso di proteggere le imprese nel breve termine dall’esplosione dei costi energetici, fattore fondamentale per la competitività internazionale, come ricordato dal rapporto di Mario Draghi dello scorso anno. Quest’ultimo sottolineava i vantaggi comparativi in materia, in particolare negli Stati Uniti, dove l’elettricità e soprattutto il gas naturale sono molto meno costosi grazie alla loro ampia disponibilità.

Ma occorre fare attenzione che la dipendenza da questi aiuti, unita alla mancanza di un percorso chiaro per la fiscalità del carbonio, non privi le imprese della visibilità necessaria per pianificare gli investimenti nella decarbonizzazione e nell’efficienza energetica.

In Italia, gli oneri di sistema finanziano direttamente riduzioni mirate per alcuni settori ad alta intensità energetica. Durante la crisi, Roma ha integrato questo dispositivo con misure temporanee: riduzione delle accise e dell’IVA, sospensione degli oneri e crediti d’imposta sull’energia che coprono dal 20 al 45% dei costi energetici aggiuntivi a seconda del profilo delle imprese. Questo approccio ha il merito di cercare di mantenere un segnale di prezzo relativo. Tuttavia, presenta due limiti:

    il costo finale dell’elettricità per l’industria rimane superiore a quello della Francia, pesando sulla competitività internazionale;

    la sospensione degli oneri ha dimostrato la vulnerabilità di questo modello, con un impatto diretto sul finanziamento della transizione.

In entrambi i casi, l’equilibrio tra competitività e transizione rimane fragile, dipendente tanto dagli aiuti congiunturali quanto da una strategia fiscale a lungo termine.

Fiscalità e potere d’acquisto: due modelli di protezione sociale

La crisi energetica ha messo in luce in modo acuto una realtà a lungo sottovalutata: la fiscalità energetica è anche una questione di giustizia sociale. Essa ha un impatto diretto sul potere d’acquisto delle famiglie e sulle disuguaglianze, influenzando al contempo la capacità collettiva di finanziare la transizione. La Francia e l’Italia, pur confrontate agli stessi shock, hanno adottato logiche diverse per proteggere i più vulnerabili.

In Francia, il principale meccanismo di protezione delle famiglie a basso reddito è il « chèque énergie » (assegno energetico), versato automaticamente alle famiglie aventi diritto. Questo dispositivo offre un aiuto diretto per coprire una parte delle bollette, senza modificare il prezzo dell’energia stessa. Tuttavia, alcune associazioni hanno criticato la visibilità del dispositivo, che rischia di frenare le richieste di ammissibilità di alcune famiglie. Anche lo scudo tariffario ha svolto un ruolo importante nel pieno della crisi energetica: congelando i prezzi, ha limitato l’impatto dell’aumento dei costi su tutti i consumatori. Tuttavia, questa misura, di natura temporanea, ha avuto un costo elevato per il bilancio, oltre a mascherare il segnale di prezzo necessario alla transizione energetica, come accennato in precedenza.

L’Italia ha scelto di combinare una fiscalità modulata e dispositivi sociali integrati. Il bonus sociale energia, assegnato in base all’ISEE, riduce direttamente la bolletta delle famiglie vulnerabili. Questo dispositivo è automatico e mirato, il che gli conferisce una notevole efficacia sociale. Durante la crisi energetica, il governo italiano ha anche ridotto temporaneamente l’IVA e le accise, oltre a sospendere alcuni oneri di sistema, al fine di fornire un sollievo generale ai consumatori.

Questa logica mista combina protezione mirata e misure generali, ma ha reso più complessa la leggibilità della politica energetica, oltre a richiedere un costante compromesso tra giustizia sociale e sostenibilità finanziaria.

Infine, Francia e Italia condividono la stessa sfida: conciliare la protezione sociale e il finanziamento sostenibile della transizione. Ciò presuppone il superamento delle logiche nazionali frammentate per lavorare ad adeguamenti della fiscalità energetica a livello europeo.

Conclusione: verso una convergenza italiano-francese?

Il confronto italo-francese illustra quanto la fiscalità energetica, sebbene decisa a livello europeo attraverso diverse direttive, rimane una scelta politica nazionale di primaria importanza.

● La Francia ha privilegiato la protezione universale, efficace nel breve termine ma indebolendo il segnale di prezzo necessario alla transizione.

● L’Italia ha integrato maggiormente il finanziamento e la protezione sociale attraverso gli oneri e il bonus sociale, ma a costo di una complessità amministrativa e di una vulnerabilità agli shock esterni.

Questi limiti sottolineano la necessità di una convergenza europea: in un mercato unico dell’energia, divergenze fiscali troppo marcate creano distorsioni della concorrenza e rischiano di frenare gli investimenti industriali.

Il Trattato del Quirinale può essere un laboratorio per questa armonizzazione. Francia e Italia potrebbero sperimentare:

    un’armonizzazione progressiva delle accise e degli oneri parafiscali,

    una fiscalità sul carbonio chiara, progressiva e stabile,

    un collegamento tra segnale di prezzo e dispositivi sociali, affinché la transizione rimanga equa e competitiva.

La questione ormai va oltre il quadro nazionale: si tratta di capire se l’Europa vuole dotarsi di una fiscalità energetica in grado di conciliare tre imperativi: sobrietà, competitività, solidarietà.

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