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Di Adrien Guyot

 

Il panorama energetico italiano sta vivendo oggi una svolta impensabile solo pochi anni fa. Tredici anni dopo il referendum del 2011, che sembrava aver chiuso definitivamente il capitolo del nucleare civile, Roma ha riaperto il dossier atomico nel 2023-2024. Sotto l’impulso dell’ENEA, dell’ARERA e di diversi industriali come Enel, Ansaldo Energia o start-up come Newcleo, il Paese sta studiando l’integrazione di reattori di nuova generazione (SMR e AMR) entro il 2035-2040.

Mentre la Francia annunciava nel 2022 sei EPR2, questo riposizionamento rilancia in Italia una strategia nucleare a lungo termine, volta a ricostruire un settore indebolito da due decenni di sottoinvestimenti. L’obiettivo è quello di rispondere alle crescenti esigenze di elettrificazione, ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e riuscire nella decarbonizzazione. In questo contesto, il nucleare appare per entrambi i paesi come una leva centrale per la sovranità, la competitività e la stabilità dei prezzi.

Francia e Italia si inseriscono così nel movimento internazionale lanciato alla COP28, che mira a triplicare la capacità nucleare mondiale entro il 2050. Ma questa rinascita poggia su basi fragili: i settori dei due paesi devono affrontare sfide industriali, economiche e normative di grande rilevanza. 

In questo contesto, il Trattato del Quirinale offre un’opportunità strategica: trasformare due traiettorie nazionali parallele in una dinamica di cooperazione strutturata, in grado di sostenere l’ascesa del nucleare in Europa.

Due traiettorie nucleari a lungo contrapposte

La traiettoria francese è rimasta a lungo un’eccezione a livello mondiale. All’indomani della crisi petrolifera del 1973, il Piano Messmer (1974) ha istituito un massiccio programma di elettrificazione nucleare, basato su una filiera industriale integrata: progettazione, costruzione, operatività e ciclo del combustibile. In meno di un quarto di secolo, sono stati messi in servizio 58 reattori, rendendo la Francia uno dei paesi più nuclearizzati al mondo e un esportatore netto di elettricità (89 TWh nel 2024!).

A partire dagli anni ’90, questa dinamica ha perso slancio. Il consumo di elettricità si stabilizza, lasciando trasparere una “sovraccapacità” sostenible. Non viene avviato alcun nuovo programma, ad eccezione dell’EPR di Flamanville, presentato come il dimostratore della terza generazione. Ma questo cantiere, emblematico per i suoi ritardi e i suoi costi aggiuntivi, rivela progressivamente le fragilità di un settore che ha perso parte delle sue competenze chiave.

Inoltre, il parco esistente deve affrontare uneffetto scogliera”: tutti i reattori sono stati costruiti nello stesso periodo e la loro età media supera i 40 anni. Di fronte a questo problema, il costoso programma (circa 50 miliardi di euro tra il 2008 e il 2025) di grande carenaggio mira a prolungarne il funzionamento in tutta sicurezza. Nel febbraio 2022, il discorso del Presidente della Repubblica al Bourget segnava una svolta: per sostituire queste centrali obsolete, sarebbero stati costruiti sei EPR2. La Francia confermava così la sua volontà di ricostituire una base industriale solida, in grado di sostenere un programma a lungo termine. 

L’Italia, invece, segue un percorso molto diverso. Dopo essere stata uno dei primi paesi europei a sfruttare le centrali civili, un referendum post-Tchernobyl ha portato alla sospensione del programma e alla graduale dismissione dei quattro reattori esistenti. Anche il tentativo di rilancio portato avanti da Berlusconi tra il 2008 e il 2011, in collaborazione con EDF e AREVA, è stato interrotto dopo Fukushima e un nuovo referendum.

La storia avrebbe concludersi qui, ma dal 2023-24 è in atto un profondo cambiamento. Roma sta definendo una governance dedicata per valutare un possibile ritorno al nucleare: comitati interministeriali, studi affidati a ENEA, ARERA, Enel e una forte mobilitazione industriale di Ansaldo Energia. L’attenzione si concentra principalmente sui SMR (Small Modular Reactors) e sugli AMR (Advanced Modular Reactors), ritenuti più adatti alla struttura del sistema elettrico italiano.

Questa riapertura non costituisce ancora una decisione di ricostruzione delle centrali, ma segna una svolta importante. Per la prima volta dal 2011, l’Italia reintegra il nucleare nella sua strategia energetica a lungo termine.

 

Diagnosi comune di una ripresa più complessa di quanto sembri

Reintrodurre il nucleare significa innanzitutto ricostruire le filiere industriali, finanziarie e istituzionali indebolite da diversi decenni di discontinuità. L’AIEA identifica due ostacoli principali, strettamente correlati alla diffusione di nuovi programmi nucleari in Europa: i tempi di costruzione e il costo del finanziamento

 

Gestire i tempi 

I ritardi nei progetti recenti (tra cui Flamanville, ma non solo) rivelano un’erosione delle competenze nella progettazione, costruzione e gestione di grandi progetti negli Stati Uniti e in Europa. La mancanza di standardizzazione e la costante evoluzione delle norme hanno impedito l’emergere di una curva di apprendimento.

  • In Francia, i sei EPR2 mirano a rompere con questa logica, grazie a serie più lunghe e a un design semplificato.
  • In Italia, dopo trent’anni senza sfruttamento dell’energia nucleare, l’obiettivo è quello di ricreare ex novo una base di competenze credibile, con il sostegno degli attori industriali ancora presenti e delle partnership europee.

 

Garantire il finanziamento 

I ritardi e le incertezze aumentano il rischio percepito dagli investitori, aumentando meccanicamente il costo del capitale. Il nucleare è una tecnologia ad alta intensità di capitale, con costi fissi elevati e orizzonti di ritorno sull’investimento lunghi. In questo contesto, qualsiasi slittamento dei tempi si traduce in un aumento significativo del costo totale del progetto

  • In Francia, la difficile situazione finanziaria di EDF e l’entità degli investimenti simultanei (grande carenaggio, EPR2, energie rinnovabili) rafforzano la dipendenza dai meccanismi di sostegno pubblico e dalle garanzie statali, proprio mentre la situazione delle finanze pubbliche è preoccupante.
  • In Italia, l’assenza di un quadro finanziario stabilizzato e di un modello economico collaudato rende la questione ancora più delicata, spiegando in parte la cautela delle autorità e il loro approccio graduale.

 

Un contesto energetico in evoluzione

La crescente concorrenza delle energie rinnovabili e delle batterie, i cui costi di investimento sono notevolmente diminuiti, esercita un’ulteriore pressione sulla giustificazione economica del nucleare. 

Soprattutto, la dinamica dell’elettrificazione rimane incerta. La domanda di energia elettrica cresce meno rapidamente del previsto, il che rischia di ricreare un eccesso di capacità in Francia, come ricordato da RTE nella sua ultima relazione previsionale. In Italia, la struttura del sistema elettrico, storicamente dipendente dalle importazioni e dal gas, favorisce un approccio più prudente, privilegiando soluzioni percepite come più flessibili e meglio integrabili nel breve termine.

Così, al di là dei diversi percorsi nazionali, Francia e Italia si trovano ad affrontare un problema simile: come rilanciare un settore nucleare credibile in un contesto caratterizzato da forti vincoli industriali, finanziari e sistemici? È proprio in questo contesto che le tecnologie modulari e le cooperazioni bilaterali assumono tutto il loro significato. 

 

Sinergie franco-italiane per garantire il rinnovamento nucleare europeo: il caso dei reattori modulari

In un contesto in cui nessuno Stato europeo può sostenere da solo le incertezze associate ai nuovi programmi nucleari, la sinergia Italia-Francia appare come un fattore chiave di successo, in particolare nel sostegno a un nuovo tipo di reattori: i reattori modulari.

Quando si parla di reattori modulari, si intendono due cose: gli SMR e gli AMR. 

  • SMR (small modular reactor): tipo di reattore che utilizza lo stesso tipo di tecnologia dei reattori ad acqua pressurizzata utilizzati nella maggior parte del mondo. È il caso, ad esempio, di Nuward.
  • AMR (advanced modular reactor): tipo di reattore che utilizza nuove tecnologie. È il caso delle start-up Newcleo, Naarea o Hexana, che grazie alla loro tecnologia consentono di chiudere il ciclo del combustibile. 

In Italia, gli SMR e gli AMR sono particolarmente interessanti per i decisori politici. La loro potenza inferiore è compensata da una produzione standardizzata. Per un Paese che da decenni non dispone di un parco nucleare, questi reattori offrono accettabilità, flessibilità e un progressivo aumento delle competenze. Questa scelta tecnologica riflette anche un vincolo strutturale. L’Italia non dispone più di un ecosistema industriale completo in grado di sostenere da solo la costruzione di reattori ad alta potenza. Questo tipo di reattori, siano essi SMR o AMR, appaiono quindi come una porta d’accesso pragmatica al nucleare, limitando i rischi iniziali e consentendo al contempo un progressivo aumento delle competenze. Meno capitalistici, interessano anche il settore privato, in particolare l’industria pesante.  

Per la Francia, l’interesse per queste tecnologie risponde a una logica diversa ma complementare. Se gli EPR2 costituiscono la base per il rinnovo del parco esistente e la produzione massiccia di elettricità decarbonizzata, i reattori modulari offrono nuove prospettive: fornitura di calore industriale, produzione decentralizzata, sostegno all’elettrificazione di siti isolati o ancora mantenimento delle competenze su cicli di progetti più brevi. Lungi dall’essere in contrasto tra loro, gli EPR e gli SMR rispondono a usi distinti all’interno dello stesso sistema elettrico in trasformazione. 

Pertanto, la convergenza Italia-Francia sui SMR e AMR non traduce una messa in discussione del nucleare di grande potenza, ma l’emergere di un approccio più diversificato, adatto alla pluralità dei bisogni energetici europei.

 

Cooperare per ridurre i tempi e ripristinare la credibilità del settore

Il rinnovamento del nucleare in Europa dipende ormai meno dalle scelte tecnologiche che dalla capacità di realizzare i progetti nei tempi previsti: è soprattutto una questione industriale. La cooperazione Italia-Francia può svolgere un ruolo strutturale in questo contesto al fine di migliorare le prestazioni del settore e ripristinare la fiducia degli investitori.  

 

Condividere le competenze Italia-Francia e i programmi di formazione

La Francia conserva importanti punti di forza nel campo dell’ingegneria nucleare, della sicurezza e della gestione del ciclo del combustibile. L’Italia, dal canto suo, conserva un tessuto industriale efficiente nel settore delle apparecchiature elettromeccaniche, delle turbine e dell’ingegneria pesante, incarnato in particolare da Ansaldo Energia, nonché una capacità di innovazione illustrata dall’emergere di attori come Newcleo. 

Una cooperazione rafforzata consentirebbe di mutualizzare le catene del valore, garantire gli approvvigionamenti e, soprattutto, favorire la standardizzazione dei progetti. Aumentando i volumi e stabilizzando i riferimenti tecnici, Italia e Francia contribuiscono a ricreare le condizioni per una vera curva di apprendimento, condizione indispensabile per ridurre i tempi e abbassare i costi.

Programmi congiunti di formazione e mobilità delle competenze completano questo approccio e consentono di ricostruire una generazione nucleare europea in grado di portare avanti questi progetti complessi.

 

Strutturare un quadro di finanziamento adeguato 

Un coordinamento franco-italiano sugli strumenti economici e contrattuali consentirebbe di migliorare significativamente la leggibilità del settore per gli investitori.

Il Trattato del Quirinale offre un quadro politico adeguato per garantire questa convergenza nel lungo periodo. Allineando le loro posizioni a livello europeo (in particolare sui meccanismi di sostegno e sul riconoscimento del nucleare come pilastro della transizione climatica), la Francia e l’Italia possono contribuire a stabilizzare il contesto finanziario del nucleare e a renderlo un’opzione credibile per rispondere alle future esigenze energetiche.

 

Conclusione: verso una strategia nucleare coordinata

Il ritorno del nucleare in Italia e in Francia riflette una consapevolezza condivisa: senza una capacità gestibile, decarbonizzata e sovrana, la transizione energetica europea rimarrà incompleta. 

Ma questa reintroduzione non potrà avere successo senza una rottura con le logiche del passato. Le difficoltà incontrate (ritardi, costi aggiuntivi) dimostrano che la sfida è ormai meno tecnologica che industriale, finanziaria e organizzativa.

La cooperazione Italia-Francia offre un quadro strutturale per mutualizzare i rischi, ricreare volumi industriali critici e garantire i percorsi di investimento. A questo proposito, il Trattato del Quirinale costituisce una leva politica strategica per strutturare un approccio comune al nucleare civile. 

Emergono tre priorità di politica pubblica:

  1. Stabilizzare i quadri decisionali e di finanziamento, per ridurre il costo del capitale e migliorare la credibilità dei progetti.
  2. Coordinare le strategie industriali, in particolare sui nuovi reattori e sulle catene del valore critiche.
  3. Inserire il nucleare in una visione europea dell’elettrificazione, complementare alle energie rinnovabili e alle reti.

Rendere il nucleare un pilastro credibile della transizione non è una scelta ideologica, ma una decisione strategica. La capacità di Italia e Francia di trasformare i loro percorsi paralleli in una dinamica coordinata costituisce un segnale forte per l’intera Unione europea.